Pubblichiamo le riflessioni di Damiano Magrini del V Scientifico B
«Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta».
(Divina Commedia, Paradiso C. XVII)
Sono convinto che non possiamo permetterci di dimenticare e neppure di odiare. Migliaia di persone sono morte e centinaia di migliaia sono state costrette all’esilio perché rifiutate da tutti: jugoslave secondo gli italiani, italiane (ed indistintamente fasciste) per gli jugoslavi.
Ormai sempre più vicino alla conclusione del mio secondo decennio di vita, ammetto che per fin troppo tempo ho ignorato la portata e gli effetti di questo odio, un odio che, per vergogna e convenienza, è rimasto ben nascosto, a tutti, per molte decine di anni.
Ringrazio i miei compagni del III classico B per avermi, averci accompagnati, la mattina dello scorso 10 febbraio, nel rivivere gli scenari vissuti dalle vittime dei massacri e dagli italiani esuli nella loro stessa patria, rinnegati e obliati dai loro fratelli e connazionali.
L’azione degli jugoslavi ai danni degli italiani fu un’azione di rappresaglia, accesa anche dall’odio della diversità. Eppure, come scrisse papa Francesco nel 2013, nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, la diversità «è bella quando accetta di entrare costantemente in un percorso di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una “diversità riconciliata”». Tramite la riconciliazione, e non tramite la lacerazione delle relazioni e la rappresaglia, potremo portare avanti nella pace la nostra società.
