Oggi, giovedì 30 ottobre, presso l’auditorium dell’Istituto Massimo si è svolta la premiazione del concorso letterario “La scrittura non va in esilio”,  promosso dal Centro Astalli nell’ambito dei progetti didattici “Finestre” e “Incontri”, sul diritto d’asilo e il dialogo interreligioso.

L’evento è stato una vera e propria festa tra musica, letture e danza, grazie alle esibizioni del rapper Tommy Kuti e del ballerino Sonny Olumani a cui hanno partecipato mille studenti delle scuole superiori di varie città italiane. Una grande festa per ribadire l’importanza della creazione di una società più inclusiva e accogliente, libera da razzismo e xenofobia, fin dai banchi di scuola.

Oltre alla premiazione dei ragazzi vincitori del concorso letterario, tra cui una studentessa del nostro istituto, Lavinia Croccolo, che si è classificata al secondo posto con il racconto “Un’insegnante di vita”, l’evento è stato anche un’occasione per per consegnare agli Istituti scolastici che si sono impegnati a promuovere la realizzazione di percorsi di cittadinanza attiva tra gli studenti per la creazione di una società più giusta, più aperta e più accogliente, l’attestazione “Scuola amica dei rifugiati”, l’iniziativa del Centro Astalli in collaborazione con ASCS – Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo. Anche l’Istituto Massimo diventa così una “Scuola amica dei rifugiati”, grazie al progetto “Pietre di inciampo”, realizzato dalle classe prime lo scorso anno scolastico in occasione della Giornata della Memoria.

Qui di seguito il racconto di Lavinia Croccolo

Un’insegnante di vita

Quell’esperienza non la scorderò mai e tutt’ora il suo ricordo è chiaro e limpido nella mia mente. Era un giorno normalissimo e come sempre stavo andando a lavorare in bicicletta. Il lavoro era la mia passione, io insegnavo educazione fisica in una scuola primaria e i miei studenti erano per me come una famiglia. Volevo loro molto bene ed avevo instaurato con la mia classe un rapporto fantastico. Era il 25 maggio 2014: arrivai a scuola, ma provai una strana sensazione. Erano assenti il rumore e il gridio che di solito mi accoglievano. Non si vedeva neanche il consueto rincorrersi di qualche bambino all’ingresso. Non c’era nessuno e, soprattutto, non vedevo i miei ragazzi. La testa mi diceva di scappare, come se avvertisse un presagio di pericolo, ma il cuore diceva tutt’altro, perché proprio in quel posto, nel mio cuore, portavo quei venti ragazzi. Decisi così di entrare a scuola e in pochi istanti la mia vita cambiò per sempre. Vidi soltanto cinque uomini armati con dei passamontagna sul volto e i miei allievi, legati, loro prigionieri. Poi avvertii un fruscio da dietro la testa, un violento colpo alla nuca e improvvisamente persi i sensi. Al mio risveglio ero seduta per terra, in una stanza buia e umida, con le mani legate. In poco tempo realizzai di essere nello sgabuzzino sotterraneo della scuola. Ero lì con tutti i miei ragazzi, sentivo tutte le loro voci e in esse percepivo grande angoscia e preoccupazione. Avrei voluto che tutto fosse stato solo un brutto sogno, che quella brutta avventura finisse al più presto, ma sapevo che non era così e che dovevo fare qualcosa. Lasciai che i miei occhi si abituassero al buio, aguzzai la vista e cominciai a esplorare la stanza con lo sguardo. Non lontano da me avevano lasciato un secchio per le pulizie: mi ci avvicinai con fatica e cercai il suo bordo che era sufficientemente affilato per provare a rompere la corda che teneva le mie mani legate. Riuscii a farlo in pochi minuti e appena libera slegai le mani dei miei studenti abbracciandoli uno ad uno. In quegli abbracci sentivo la disperazione dei miei ragazzi, quei ragazzi a cui volevo tanto bene. Desideravo soltanto continuare a vederli ogni giorno per tutta la vita. Ero ancora sconvolta, ma nel fitto buio della stanza scorsi una piccola luce, un bagliore. Questa fu per me come un’ancora di salvezza, un appiglio dove potersi agganciare in un momento di difficoltà: mi diede speranza. Mi avvicinai al punto dal quale quel chiarore proveniva, diedi un pugno ad una mattonella ed essa cadde. Avevo trovato una via d’uscita! Immediatamente cominciai a far fuggire uno per volta i ragazzi, attraverso quell’angusto passaggio. Mentre camminavano li osservavo intensamente. Sentivo sarebbe stata l’ultima volta che avrei potuto ammirare i loro giovani volti, pieni di vita e amore. Improvvisamente sentii i passi dei terroristi che si avvicinavano. Eravamo rimasti solo io e un ragazzo in quella stanza: Soumaila. Lui era un ragazzo speciale, era pieno di voglia di vivere e metteva passione in tutto ciò che faceva. Gli volevo molto bene. I passi però erano sempre più vicini e non c’era tempo perché tutti e due potessimo scappare, così spinsi Soumaila nel buco e lo richiusi dietro di lui. In quel momento mi sentivo sola, come vuota. Senza quelle persone che avevano reso la mia vita così bella e piena di significato, mi sentivo smarrita. Sentivo di essere stata inutile, non ero neanche riuscita ad impedire che una cosa così orribile potesse accadere. Non avevo insegnato niente a quei ragazzi e non avevo neanche potuto consolarli in un momento così difficile. Sentivo che mi sarebbero mancati per sempre. Mentre mi portavano via verso quello che capii sarebbe stato l’ultimo momento della mia vita, pensai che forse qualcosa di buono ero riuscita a fare, forse ero riuscita a salvarli. Magari un giorno qualcuno di loro avrebbe seguito la mia strada, qualcuno di loro sarebbe diventato ciò che avevo sperato per lui…

“Oggi abbiamo un ospite qui con noi: Soumaila Sako. E’ insegnante in un scuola di Roma ed il lavoro per lui è una passione. Ma signor Soumaila, da dove è nato questo grande amore per l’insegnamento?” “Per rispondere a questa domanda voglio ricordare la mia insegnante delle elementari: la maestra Kaila. È grazie a lei che oggi sono qui. È una persona veramente speciale per me. Lei mi ha insegnato a vivere, a mettere passione nelle cose che faccio e a vivere per gli altri come faceva lei. La mia passione per l’insegnamento me l’ha trasmessa la maestra Kaila. Io e lei ci separammo ormai cinque anni fa. Eravamo stati rapiti, ma lei trovò una via d’uscita per noi. Fece scappare prima tutti i miei compagni di classe, finché non rimanemmo solo io e lei. Non c’era tempo perché scappassimo tutti e due, così Kaila si sacrificò per me. Mentre fuggivo nel passaggio sotterraneo sentii le voci dei terroristi che portavano via la mia maestra e sperai per tutta la vita che quel giorno non le fosse accaduto nulla di male. Prima di salutarci però ci promettemmo che un giorno, il prima possibile, ci saremmo rivisti. So che quella promessa verrà mantenuta perché lei era fatta così, le promesse le manteneva sempre.”